Nell’Amazzonia equadoregna la plastica salva l’ambiente

Potrebbe sembrare un paradosso ma non è così, per salvare l’ambiente in Equador si fa ricorso alla plastica. Negli ultimi anni abbiamo assistito nel mondo al boom dell’energia eolica, basti pensare che la sua capacità produttiva globale in dieci anni è aumentata del 9% all’anno.  Se da un lato questo è un dato incoraggiante per l’ambiente, dall’altro bisogna tenere in considerazione che per produrre una pala di 100 metri sono necessari 150 metri cubi di legno di balsa, cioè tonnellate,. A farne le spese sono gli alberi di balsa che danno un legno rigido e leggero usato, oltre che negli aerei, nel nucleo della pala fra due strati di fibra di vetro.

L’impennata della domanda di balsa ha messo a dura prova l’intera catena di approvvigionamento dell’industria eolica. La corsa all’energia del vento ha causato i maggiori problemi in Equador, paese che fornisce più del 75% della balsa del mondo. Intere zone dell’Amazzonia equadoregna siano state prese d’assalto dai taglialegna che hanno provocato una vera e propria deforestazione a dispetto dei limiti imposti dalla legge. Un disboscamento incontrollato che ha degradato la foresta e la vegetazione mettendo a rischio l’equilibrio ambientale. Le rive dei fiumi denudate aumentano il rischio di inondazioni come rilevato dai satellitari che tracciano le attività di deforestazione.

Per mettere fine al disboscamento una soluzione efficiente è stata fornita dalla vituperata plastica e precisamente dal PET, Polietilene tereftalato. Dopo che Vestas, il maggiore produttore di turbine del mondo, ha introdotto le prime pale completamente in PET, molte altre aziende hanno iniziato a seguirne l’esempio. Dunque una schiuma sintetica, molto più economica della balsa e spesso denigrata dagli ambientalisti, salva la foresta.

Ecco un altro interessante esempio di come la plastica, e in questo caso il pet, non sia un materiale da denigrare, ma possa anzi rappresentare una soluzione più sostenibile per l’ambiente degli stessi materiali naturali.

Fonte: The Economist

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