Nel dibattito pubblico, la plastica viene spesso associata a rischi per la salute. Tuttavia, Chris DeArmitt sottolinea che le plastiche sono tra i materiali più regolamentati al mondo e sono ampiamente testate per l’uso medico, alimentare e domestico. A sostegno di questa affermazione, cita il database sulle sostanze pericolose Haz-Map dell’US National Library of Medicine, dove molte plastiche comuni (tra cui PET, PE, PP, PS e PVC) risultano non cancerogene, non tossiche e non irritanti.
Il PVC, in particolare, è spesso oggetto di preoccupazione, ma Haz-Map lo definisce “non irritante per la pelle e gli occhi”. Il PET è classificato come sicuro per il contatto con gli alimenti ed è esente da cancerogenicità nota secondo le valutazioni della IARC.
DeArmitt ricorda anche che gli enti regolatori internazionali come la statunitense FDA, l’europea EFSA e Health Canada applicano margini di sicurezza elevatissimi. Gli stessi materiali plastici utilizzati per le bottiglie d’acqua o i contenitori per alimenti devono superare test di migrazione, per assicurare che nessuna sostanza venga rilasciata oltre i limiti stabiliti.
Microplastiche: presenza non equivale a pericolo
Uno dei punti più sensibili trattati nel capitolo riguarda le microplastiche. La loro presenza è stata rilevata in mare, nell’aria, nel suolo e persino nei corpi umani. Tuttavia, nessuno studio ha dimostrato in modo conclusivo che queste particelle rappresentino un pericolo per la salute umana alle concentrazioni rilevate in natura.
DeArmitt fa riferimento a uno studio condotto dall’Università di Vienna (Schwabl et al., 2018), in cui sono state trovate microplastiche nelle feci umane. Tuttavia, gli stessi autori non sostengono che ciò implichi tossicità, ma semplicemente che si tratta di un dato osservazionale da approfondire.
Lo stesso principio viene applicato in tossicologia ambientale: la presenza di una sostanza non implica automaticamente un rischio, se non si conosce la dose, la forma e il contesto di esposizione. Questo principio è ribadito anche dallo studio di Koelmans et al. (2017) su Environmental Science & Technology, che conclude che “le evidenze attuali non supportano l’ipotesi di un impatto diretto delle microplastiche sulla salute umana”.
Inoltre, il capitolo smonta l’idea che le microplastiche provengano principalmente da imballaggi alimentari. DeArmitt cita lo studio di Boucher & Friot per l’IUCN (2017), che attribuisce le principali fonti di microplastiche al lavaggio di tessuti sintetici.
Additivi: sotto controllo, non fuori controllo
L’attenzione si sposta poi sugli additivi utilizzati nella produzione delle plastiche – plastificanti, coloranti, stabilizzanti. Questi vengono spesso dipinti come agenti chimici pericolosi, ma il capitolo chiarisce che la maggior parte degli additivi utilizzati oggi è sottoposta a valutazioni di rischio rigorose.
Per esempio, l’uso del bisfenolo A (BPA) è stato limitato o vietato in molte applicazioni sensibili, come nei biberon o negli imballaggi per neonati, a seguito del principio di precauzione. Tuttavia, DeArmitt cita lo studio di Dekant & Völkel (2008), pubblicato su Critical Reviews in Toxicology, secondo cui le dosi di BPA alle quali siamo esposti quotidianamente non costituiscono un rischio reale per la salute umana, in quanto l’organismo lo metabolizza e lo elimina rapidamente.
Lo stesso vale per gli ftalati: sebbene alcuni tipi siano stati vietati in specifici contesti, non tutti gli ftalati sono tossici, e le alternative vengono costantemente monitorate dagli enti regolatori. DeArmitt riporta anche uno studio dell’OECD del 2004 che evidenzia come la stragrande maggioranza degli additivi utilizzati nelle plastiche non abbia mostrato effetti negativi in condizioni d’uso reale.
Plastica percepita come pericolosa, ma lo è davvero?
Una parte del capitolo è dedicata al tema della percezione pubblica. DeArmitt cita uno studio pubblicato su Risk Analysis (Slovic, 1987), che spiega come il rischio percepito sia spesso maggiore per le sostanze “sintetiche” rispetto a quelle “naturali”, anche in assenza di prove. Questa dinamica si applica perfettamente alla plastica, demonizzata per il solo fatto di essere prodotta industrialmente, mentre molti materiali naturali contengono sostanze ben più irritanti o pericolose.
Il capitolo si chiude con un confronto: se le plastiche fossero davvero così pericolose, non sarebbero mai state approvate per l’uso medico, né impiegate in milioni di dispositivi salvavita, protesi e strumentazioni cliniche. La realtà è che la sicurezza della plastica è ampiamente documentata, anche se poco raccontata.
Conclusione
Anche sui temi più controversi – come tossicità, microplastiche e additivi – il libro di Chris DeArmitt dimostra che la narrazione comune è spesso in contrasto con la letteratura scientifica. I materiali plastici non sono esenti da impatto, ma sono tra i più studiati, regolati e sicuri al mondo.
“La scienza ci offre strumenti per valutare i rischi reali. Ignorarla in favore della paura ci espone a scelte sbagliate, e a soluzioni meno sicure di quelle che già abbiamo.”
Si ringrazia ITP per il prezioso contributo a questa iniziativa e per aver curato l’edizione italiana del libro.
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