Oceani di plastica: mito o realtà? Cosa dice davvero la scienza sull’inquinamento marino

In questo articolo analizziamo un nuovo capitolo del libro Shattering the Plastic Illusion del Dr. Chris DeArmitt, chimico e scienziato dei materiali che ha deciso di verificare con rigore le affermazioni più diffuse sull’inquinamento da plastica negli oceani. Si tratta di un lavoro controcorrente, che mette in discussione molte delle convinzioni radicate nell’opinione pubblica.

Da anni sentiamo dire che gli oceani stanno letteralmente affogando nella plastica, che ogni anno milioni di tonnellate di rifiuti vengono scaricati in mare, che esiste un’enorme “isola di plastica” grande quanto il Texas e che, entro il 2050, ci sarà più plastica che pesci. Ma quanto c’è di vero in tutto questo?

L’“isola di plastica”: realtà o leggenda?

Uno dei miti più persistenti è proprio quello della famosa “isola galleggiante” nel Pacifico. Secondo quanto riportato in numerosi articoli e reportage, si tratterebbe di una massa solida di rifiuti visibile dallo spazio. Eppure, come dimostra una tesi di dottorato dell’Università della California (De Wolff, 2014), nessuno l’ha mai trovata. Neppure dopo settimane passate in mare, neppure usando Google Earth. L’isola, semplicemente, non esiste. Il mito è nato da un errore di traduzione apparso sulla Pravda nel 2004, che trasformava la parola “tappeto” (usata in un articolo tedesco per descrivere l’accumulo di rifiuti) in “isola”, accompagnandola con un’illustrazione suggestiva che raffigurava una montagna galleggiante di immondizia.

Il capitano Charles Moore, che per primo ha attraversato il vortice oceanico oggetto del mito, ha raccontato nel suo libro Plastic Ocean che ciò che ha visto non era affatto un’isola, ma piuttosto una sorta di zuppa liquida contenente minuscoli frammenti di plastica. Alcune zone erano leggermente più dense, dove galleggiavano reti da pesca, boe o casse, ma niente che somigliasse alle immagini diffuse dai media.

Dai modelli ai fatti: quanta plastica c’è davvero?

Anche i dati sulla quantità di plastica presente negli oceani meritano un’analisi più approfondita. Uno studio pubblicato nel 2015 da Jenna Jambeck e colleghi su Science stimava tra 4,8 e 12,7 milioni di tonnellate di plastica riversate in mare ogni anno. Questo studio è diventato rapidamente la base per campagne globali, ma si trattava di una proiezione teorica basata su modelli e ipotesi, non su misurazioni dirette. Gli stessi autori ammettevano di non conoscere il tasso effettivo di plastica che dai rifiuti terrestri finisce davvero in mare.

Studi più recenti, come quello di Weiss et al. pubblicato nel 2021 sempre su Science, hanno rivisto quelle stime alla luce di migliaia di dati reali raccolti in anni di monitoraggi. I ricercatori hanno concluso che i flussi effettivi di plastica nei fiumi sono da due a tre ordini di grandezza inferiori rispetto a quelli stimati da Jambeck. In altre parole, anziché milioni di tonnellate, parliamo di circa 6.000 tonnellate all’anno.

Anche lo studio di Cózar et al. pubblicato nel 2014 su PNAS ha mostrato che la quantità di plastica galleggiante rilevata nelle acque oceaniche è dell’ordine di poche decine di migliaia di tonnellate. Il divario rispetto ai numeri diffusi dalle ONG è impressionante.

Un’altra affermazione molto citata è quella secondo cui, entro il 2050, ci sarà più plastica che pesci negli oceani. L’origine di questa previsione è un report della Fondazione Ellen MacArthur, rilanciato da numerose altre organizzazioni tra cui WWF e Greenpeace. Ma l’analisi dei presupposti di questo scenario mostra diverse incongruenze. Si presume che negli oceani ci siano già 150 milioni di tonnellate di plastica (dato non dimostrato), che questa quantità cresca esponenzialmente, che nessuna plastica si degradi e che il peso totale dei pesci sia compreso tra 800 e 900 milioni di tonnellate. In realtà, non solo mancano prove sull’attuale presenza di 150 milioni di tonnellate, ma decenni di dati raccolti da vari gruppi di ricerca, come dimostrano Galgani et al. (2021), mostrano che la quantità di plastica in mare è stabile nel tempo e non in crescita.

I danni reali alla fauna marina

E i danni alla fauna marina? Anche qui, l’analisi scientifica porta a risultati sorprendenti. Le tartarughe, spesso citate come vittime delle cannucce di plastica, sono in realtà vittime principalmente dalle reti da pesca. Il video virale della tartaruga con una “cannuccia” nel naso, visto oltre 200 milioni di volte, non ha mai ricevuto una verifica scientifica. Non è stato fatto alcun test sul materiale, come ammesso dallo stesso autore, e non si può nemmeno essere certi che si trattasse di una cannuccia.

Le balene, da parte loro, risultano uccise soprattutto da impatti con navi e perché restano impigliate in attrezzature da pesca, come confermano numerosi studi tra cui quello di Van der Hoop et al. (2012). Anche gli uccelli marini, spesso citati come vittime della plastica ingerita, raramente ne muoiono. Se c’è un rifiuto davvero pericoloso per loro, è il palloncino in gomma, che ha una probabilità di causare la morte 32 volte superiore rispetto ad altri oggetti, secondo uno studio di Roman et al. pubblicato su Nature Scientific Reports nel 2019.

Pulire il mare: realtà o illusione?

Uno dei punti più controversi del capitolo riguarda l’efficacia delle operazioni di pulizia degli oceani. L’idea di inviare navi a raccogliere i rifiuti in mare è affascinante, ma del tutto impraticabile. Come riportato dalla NOAA (la National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense), per ripulire meno dell’1% del Pacifico Settentrionale servirebbero 67 navi operative per un anno intero, con costi stimati tra 122 e 489 milioni di dollari. A fronte di un impatto ambientale elevatissimo, in termini di consumo di carburante e emissioni, i benefici sarebbero minimi. La stessa NOAA sottolinea che finché non si agisce a monte, impedendo ai rifiuti di arrivare in mare, ogni tentativo di pulizia è destinato a fallire.

Cosa troviamo davvero nei vortici oceanici?

Ma cosa c’è davvero nei famosi gyres, le aree dove le correnti oceaniche concentrano i rifiuti galleggianti? Uno studio pubblicato da Lebreton et al. nel 2022 su Scientific Reports ha rivelato che tra il 75% e l’86% della massa plastica presente nel Pacifico Nord è costituita da attrezzi da pesca abbandonati. I comuni oggetti di consumo, sacchetti, bottiglie, cannucce, rappresentano appena lo 0,03% dei materiali raccolti. Nonostante ciò, molte campagne si concentrano su questi ultimi, ignorando del tutto la vera origine dell’inquinamento marino.

Un altro punto importante riguarda le microplastiche. Studi come quello di Beiras & Schönemann (2020) dimostrano che i livelli attuali presenti negli oceani sono migliaia di volte inferiori alla soglia di rischio ecologico. I frammenti vengono spesso ingeriti ed espulsi rapidamente dagli organismi marini, senza prove di bioaccumulo o effetti significativi sulla salute delle specie.

Conclusioni

Il capitolo si chiude con un appello alla razionalità. Il Dr. DeArmitt non nega l’esistenza del problema, ma invita a distinguere tra fatti e percezioni. Gli oceani non stanno affogando nella plastica, le quantità sono molto più contenute di quanto si creda e non sono in aumento. Le vere minacce per la fauna marina sono le attività di pesca industriale, non gli oggetti di uso quotidiano. Ignorare questi dati per inseguire narrazioni emotive può portare a scelte inefficaci, o addirittura dannose.

La soluzione più concreta, secondo l’autore, è intervenire alla fonte: migliorare la gestione dei rifiuti a terra, sanzionare i comportamenti scorretti dell’industria della pesca e, soprattutto, basare ogni azione su dati verificabili, non su slogan. Perché solo la verità, anche quando è meno sensazionale, può guidarci verso decisioni giuste ed efficaci.

Si ringrazia ITP per il prezioso contributo a questa iniziativa e per aver curato l’edizione italiana del libro.

Sito: https://www.itp.company/     LinkedIn: https://www.linkedin.com/company/itpspa/

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